Come lo stesso Kṛṣṇamācārya ha proposto, il suo percorso nell'insegnamento dello Yoga può essere distinto in differenti fasi, la prima delle quali (nel periodo di Mysore), chiamata
Vajrakāya, era orientata a far raggiungere agli allievi una padronanza assoluta del corpo rendendoli capaci di eseguire gli
asāna più spettacolari. Da questa fase, in cui Kṛṣṇamācārya insegna principalmente a gruppi di giovani allievi, il suo metodo evolve verso il concatenamento delle posture in sequenze codificate che prendono avvio dalla posizione in piedi. Molti dei suoi allievi di quel periodo diffonderanno poi anche in Occidente questa particolare modalità di pratica.
Ma è a partire dagli anni '50, quando lascia Mysore per stabilirsi a Chennay, che Kṛṣṇamācārya comincia a elaborare un metodo di insegnamento dello Yoga in cui la qualità dell'uso del corpo viene affiancata dalla ricerca di una qualità di stabilità interiore e di introspezione in cui il respiro comincia a rivestire un ruolo centrale. L'esecuzione, sia dinamica che statica degli asāna viene associata ad un ritmo respiratorio lento e preciso, scandito dall'ujjāyi. La pratica delle posture e delle controposizioni, così rigorosamente associata al respiro diviene uno strumento per focalizzare e stabilizzare l'attenzione, favorendo una concentrazione mentale che permette all'allievo di entrare in un contatto molto profondo con se stesso.
È proprio grazie a ciò, che questo tipo di insegnamento si adatta perfettamente anche a praticanti che vogliono unire il lavoro sul corpo al cammino spirituale. La possibilità di accedere (o di recuperare) tutte le proprie potenzialità (anche le più elevate), si realizza infatti nella persona grazie allo sviluppo della consapevolezza del corpo, della percezione e del respiro. E tale consapevolezza è capace di chiarire a poco a poco la profonda relazione esistente tra tutte le cose e di pacificare così i conflitti che distorcono la nostra visione della realtà. Questo è l'insegnamento che verrà tramandato anche in Occidente dal figlio di Kṛṣṇamācārya, T.K.V. Desikachar, suo principale allievo e quindi naturale erede della tradizione (Kṛṣṇamācārya Yoga Samprādaya).
A partire dagli anni '60, essendo divenuto sempre più importante il suo ruolo di terapeuta, Kṛṣṇamācārya affina ancora di più i suoi strumenti pedagogici insistendo sul concetto che la pratica di Yoga deve adattarsi ella persona e non viceversa. Essendo ogni allievo, soprattutto se colpito da una malattia, un essere assolutamente unico, dotato di peculiarità che devono essere rispettate anche da un programma terapeutico, dovrà ricevere l'insegnamento per lui più adatto, basato su istruzioni particolari che adattano ai suoi bisogni le posizioni e la respirazione. Quando l'unione armoniosa tra corpo, mente e spirito viene meno e la malattia o il disagio si manifestano ad un qualunque livello, viene colpita la persona nella sua interezza e solo una pratica concepita appositamente per lei può mirare a ristabilire l'equilibrio. Dunque il concetto di Viniyoga, (scelto ed utilizzato da Desikachar) mutuato dagli Yoga Sūtra di Patañjali (III-6) che implica la necessità di un approccio graduale e il prendere in considerazione i livelli della persona (cioè le sue caratteristiche peculiari come età, sesso, cultura, stato di salute, sensibilità e aspirazioni), è qui completamente sviluppato e diventa il nucleo centrale dell'insegnamento di Kṛṣṇamācārya, che pur senza rinunciare alle profonde radici da cui esso traeva origine, per tutta la durata della sua vita, lo elaborerà, rinnovandolo continuamente in modo originale e talvolta anche rivoluzionario.