Il progetto nasce nel 2010 e si rivolge ai pazienti in età adulta e ai loro familiari che afferiscono al centro di riabilitazione non residenziale Fondazione U.I.L.D.M. Lazio (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) con sede a Roma. Le lezioni in forma individuale o in piccoli gruppi si svolgono presso gli ambulatori della struttura e nel domicilio del paziente. Con coloro che già hanno una buona padronanza degli strumenti e delle tecniche dello yoga utilizzo anche la modalità da remoto, inaugurata in seguito alla pandemia da Covid 19.
Il centro rivolge i propri servizi specialistici a persone che si confrontano con malattie neuromuscolari e neurologiche gravi, croniche e invalidanti, a volte con esito letale. Distrofie muscolari, SLA, Sclerosi Multipla, esiti di ictus cerebrale, Parkinson.
Le malattie neuromuscolari hanno carattere ereditario ed evolutivo, sono cioè geneticamente determinate e si aggravano nel corso del tempo. Comportano un grave deficit di forza muscolare in seguito al quale la persona perde progressivamente la capacità di camminare e di compiere autonomamente i comuni gesti della vita quotidiana; anche le funzioni respiratorie e cardiologiche possono essere compromesse, subendo seri danni funzionali. Le distrofie muscolari, come altre patologie, possono irrompere nella vita di un individuo sia in età pediatrica sia in età adulta. Sono malattie estremamente complesse che richiedono alla persona un continuo processo di adattamento ad una realtà del proprio corpo che muta continuamente, aggravandosi.
Passaggio critico è quello della diagnosi: da una visione di sé sana ad una visione contraddistinta da una malattia invalidante, spesso imprevista, o non ancora visibile. La famiglia è attraversata da una rivelazione inquietante; è disorientata, incredula, si sente minacciata dall’introduzione della possibilità della morte. L’esperienza tragica di una diagnosi di malattia grave produce sempre, per coloro che la odono riferita a se stessi o ai propri cari, una lacerazione, un riverbero potente in quanto in grado di modificare il senso della propria presenza e la fisionomia del mondo, il modo in cui esso ci parla. Le malattie infatti non si verificano solo nel corpo, bensì nella vita di una persona; comportano un mutamento profondo che modifica lo spazio e il tempo vissuto. La malattia è un’esperienza che si apprende gradatamente. Si impara ad entrare in confidenza con lei poco alla volta, nell’arco di un tempo più o meno lungo, vissuto con ansia, trepidazione e disperazione, ma anche con momenti carichi di attesa e speranza.
In questo scenario il lavoro multidisciplinare messo in campo dall’équipe riabilitativa è finalizzato ad offrire alla persona la possibilità di un rapporto stabile, rispettare i tempi e saper dare tempo, essere un riferimento, una mente che accompagna, un contesto di cura affidabile e amorevole, risorsa preziosa generante possibilità evolutive. Relazione che sostiene e stimola quella possibilità evolutiva insita comunque nell’esperienza sofferta di convivere con una malattia complessa. È importante capire come la persona si posiziona, quale senso e significato attribuisce alla malattia e come la vive. Anche un evento doloroso, come la diagnosi di una patologia grave, può essere recuperato nella sua dimensione umana, preziosa, precaria e fragile, attraverso un processo di elaborazione che si compie nella sua naturalità, divenendo non solamente esperienza tragica, ma anche esperienza che dà l’opportunità di apprendere nuovi significati e di rimettere in circolo il ciclo di vita, il mondo della persona con i suoi valori, passioni, impegni, interessi, significati, legami, relazioni e affetti di riferimento.
La malattia, evento critico altamente destabilizzante e quindi anche potenzialmente evolutivo, può generare la spinta sufficiente ad avviare quel processo virtuoso capace di mobilitare la partecipazione soggettiva nella direzione del cambiamento che consiste nel guardare con occhi nuovi; la persona considera i fatti che esperisce da un punto di vista tale da permettergli di affrontare meglio la sua situazione; il nuovo modo di guardare alla realtà ne ha mutato completamente il senso e il significato. Il cambiamento non modifica i fatti concreti ma il modo, come la persona li vive.
È necessario proporre un intervento fortemente individualizzato, diretto ad aiutare la persona nell’impresa di riconoscere e mobilitare potenzialità e risorse presenti in grado di favorire un adattamento funzionale, anche in un momento così difficile e complesso, per vivere l’esperienza nel migliore dei modi possibili. La relazione è tesa a sostenere il malato a trovare le proprie soluzioni e a riprendere in carico se stesso. L’idea fondante è di aiutarlo a crearsi uno spazio emotivo, di pensiero e affetti in cui esprimersi, contattarsi, in cui poter ricordare le proprie esperienze di vita, bagaglio necessario per non perdere un’identità resa già così precaria dalla malattia e dallo sradicamento dalla propria realtà precedente. Il rischio di sentirsi vittima di un destino avverso, di fronte al quale la persona si sente schiacciata e impotente, è elevato e può generare uno stato d’animo di profondo abbattimento e isolamento. È necessario guardare alla persona come un processo complesso e dinamico, un’identità mai fissa e uguale a se stessa, un io errante, in divenire, in cui la malattia è una delle componenti.
Una testimonianza: La storia di Anna.
In vacanza quando voglio, anche solo per un’ora
La meditazione è il mio spazio di libertà, ogni volta che voglio posso andare in vacanza. Anche solo per un’ora. Un momento di concentrazione su me stessa e non ci sono più pensieri, sento il mare, il sole, la libertà interiore, uno spazio infinito e bellissimo. Ho bisogno di coltivare la mia spiritualità, per me è come una compagna da avere accanto sempre, perché non tutto è tangibile. Soprattutto per la mia storia: sono una donna di 54 anni con una distrofia Facio-Scapolo-Omerale. Posso confermare che è facile sentirsi sopraffatti da qualcosa di invisibile, come può essere questa malattia all’inizio, progressiva ma ancora appena percepibile. È facile sentirsi oppressi dalle emozioni del momento ed è altrettanto facile perdere di vista e non ricordare di avere la forza necessaria per andare avanti. Io ho deciso di mettermi in gioco per ricordare, non solo a me stessa, che la vita è ancora nostra nonostante la distrofia. Significa ritrovare consapevolezza e coraggio, significa iniziare a vivere di nuovo!
Ecco la mia storia: all’età di 19 anni ho iniziato ad avere problemi ad alzare il braccio destro sopra la testa, la scapola mi impediva di effettuare questo movimento. Iniziai così a vedere una serie di specialisti, ma nessuno seppe darmi risposte pertinenti con quello che mi stava succedendo. Ci sono voluti anni prima di arrivare alla diagnosi perché purtroppo o per fortuna la malattia è poco conosciuta. Dopo le braccia la malattia ha iniziato ad attaccare anche gli arti inferiori. Il panico più totale. Con la gamba sinistra non riuscivo più a fare le scale, la destra resisteva, ma fino a quando? Da lì una serie di domande mi passarono per la testa: mi hanno detto che la malattia è degenerativa, quali altri muscoli colpirà? Come mi ridurrà? Avrò bisogno della sedia a rotelle? Come cambierà la mia vita? Riuscirò ad adeguarmi? Inutile dire quanto sconforto mi travolse. Mi sentii in preda al panico. Nel frattempo le mie gambe perdevano sempre più tono muscolare, facevo sempre più difficoltà a salire le scale, a correre e anche a camminare. Sono stata costretta a cambiare casa, in quanto abitavo in un appartamento al terzo piano senza ascensore, fare le scale stava diventando una sofferenza. Insomma, la mia vita stava cambiando ed io dovevo andarle dietro, ero costretta. Il grave di questa malattia è proprio starle dietro! Quello che ieri si riusciva a fare, oggi lo si fa con fatica e domani forse non si farà più. Pian piano il corpo si trasforma, i muscoli che prima si percepivano sani e forti non ci sono più e la vita che si faceva prima la vedi allontanarsi così come i sogni, i desideri, i progetti. Ci si deve adeguare ogni giorno e a volte non si riesce a starle dietro, o forse non si vuole. Il corpo sembra una gabbia di cui ti vorresti liberare per saltare, correre, ballare! Ma non si può, ci si deve star dentro e il meglio possibile, con tutte le limitazioni del caso. Al momento non ci sono cure, farmaci che blocchino la degenerazione e, noi malati, siamo completamente in balia di ciò che vuole fare di noi la malattia: quali muscoli colpire, come modificarli e quando attaccarli. Ciò nonostante non voglio assolutamente perdere la speranza, è l’unico motore che mi permette di avere coraggio e di sfidare le difficoltà vecchie e nuove che ogni giorno mi si prospettano. Impongo a me stessa di procedere dritta avanti nel raggiungimento di un futuro migliore. Non permetterò a nessuno di portarmi via la speranza e questo non significa morire disperato, ma credere di raggiungere un sogno, la cura, la guarigione. Perché non concedermelo?
Cos’è cambiato negli ultimi dieci anni? Fisicamente la degenerazione muscolare è andata avanti portando con sé ulteriori difficoltà motorie e, quindi, per spostarmi mi occorre il bastone, per tratti più lunghi devo usare la sedia a rotelle. Tutto ciò, com’è prevedibile, non è stato facile da affrontare ed accettare ed ho avuto, come molti, qualche problema. Ma per spiegare l’evoluzione del mio percorso fino ad oggi, userò una parola: “resilienza”. L’incertezza del futuro assieme alla consapevolezza di dover riprogrammare la propria vita, spaventa, crea smarrimento e ansia. Nonostante negli ultimi anni la ricerca abbia velocizzato il cammino verso una probabile terapia, non sono sicura che io ne vedrò mai la realizzazione, ma non mi sembra un motivo sufficiente per smettere di lottare!
In questo percorso accidentato mi dà tantissimo supporto lo yoga e la meditazione. Ma questa pratica richiede costanza e pazienza, bisogna allenarsi. Mi fa scoprire o fa emergere delle mie caratteristiche ben nascoste e soffocate da altro. La possibilità di compiere movimenti, ma anche solo la possibilità di poterli immaginare mi fa sentire meglio, cambia la percezione del mio corpo. Lo yoga e la meditazione migliorano la mia vita perché mi aiutano a dare spazio ad altre forme di pensiero, a sentimenti e emozioni che non siano solo la paura, “l’oddio cosa fare? E adesso che succede?”. Mi vivo il presente e continuo a viaggiare.
Non mi sono fermata e non voglio farmi condizionare la vita dalla malattia. All’inizio andavo dove volevo, poi solo nei luoghi in cui potevo accedere; ora camminare mi rimane più difficile e devo usare un bastone o se necessario una sedia a rotelle. Se ho bisogno di ausili me li prendo, ciò che conta è la vita. Perché adesso posso farlo, domani non lo so. Il mio mantra è “barcollo ma non mollo”, nessuna domanda sul futuro, cerco di stare sul presente. Viaggiare e sognare sempre, e quando non potrò farlo fisicamente allora mi concentrerò sul respiro e via: lascerò andare i pensieri lontano.[1]
IL CONTRIBUTO DELLO YOGA
Lo yoga, opportunamente proposto, può offrire un valido sostegno alla persona. Per ricontattare risorse salutari e favorire la conoscenza di se stessi. Fiducia, un certo senso di tranquillità e di padronanza, piacere, a volte anche libertà e gioia possono nascere dall’esperienza di una pratica che si adatta, in modo appropriato, alle caratteristiche e ai bisogni specifici di ogni singola persona, nel pieno rispetto delle sue capacità, scelte e dei suoi interessi e desideri. Come diceva T.K.V. Desikachar è importante tenere conto anche della cultura di origine e il contesto di appartenenza, famiglia, luogo geografico perché offrono elementi sui quali la persona può appoggiarsi e che le danno una solidità che la conforta e sostiene. Ciò che abbiamo imparato da bambini è un patrimonio da considerare.
Yoga è un cammino verso la conoscenza di noi stessi; conoscere e agire, agire con consapevolezza, con lo scopo di conoscersi meglio, per poter agire meglio. È un approccio olistico che pone al centro la persona nella sua globalità, corpo, respiro, sensi, mente e cuore, un sistema complesso e dinamico, in relazione con se stessi, gli altri e il mondo esterno. Per vedere gli effetti occorre impegnarsi in prima persona, allenarsi, fare uno sforzo. Una pratica ben ideata può favorire il sorgere di abitudini salutari. Sviluppa le nostre potenzialità e questo ci fa bene, ci rende felici, appagati, in modo sereno e pacifico. Siamo meno reattivi e più attivi partecipanti di ciò che ci accade, siamo meno sopraffatti da ciò che ci succede.
Dopo una diagnosi complessa il corpo può essere percepito come una gabbia, può nascere una separazione che genera ulteriore sofferenza. La percezione del corpo passa quasi esclusivamente attraverso i fastidi e i dolori, che si amplificano al ricordo pungente di gesti che non si è più in grado di compiere. “Ero un musicista, suonavo la chitarra. Ora le dita delle mie mani non riescono a fare uscire il dentifricio per lavarmi i denti”. La pratica dello yoga può offrire una prospettiva diversa. È un’esperienza corporea, sensoriale e propriocettiva, respiratoria, emozionale, cognitiva, creativa e relazionale che coinvolge tutta la persona. Può sorgere uno stato di raccoglimento che favorisce un contatto pacifico e intimo con se stessi. Si impara a concedersi il riposo necessario, ad avere cura e rispetto di sé e a volersi bene. Si diventa gli esperti di se stessi e quindi capaci di sostenere la salute che c’è.
ALCUNI PRINCIPI FONDANTI DELLO YOGA PROPOSTO IN UILDM:
- Adattamento della proposta alla persona
- Capacità di osservazione e ascolto
- Relazione profonda
- Non dare nulla per scontato
STRUMENTI PROPOSTI:
- Movimenti e posizioni del corpo guidati e sostenuti dal respiro (āsana)
- Consapevolezza del respiro addominale
- Allungamento del respiro (prānāyāma)
- Consapevolezza delle sensazioni del corpo con eventuale inserimento di elementi salutari
- Rilassamento segmentario e globale
- Esercizi di concentrazione e meditazione sul corpo, sul respiro o su altri elementi
La pratica proposta va verso una direzione che l’insegnante ha in mente, poi c’è quello che la persona sperimenta. L’insegnamento (e quindi l’apprendimento) avviene nel campo di una relazione profonda, autentica; è un incontro e un dialogo aperto e intimo che passa da cuore a cuore. L’insegnante è al servizio della persona: pratica, umiltà e vigilanza sono d’obbligo fino alla fine.
“Sento il corpo più leggero, le tensioni si sono sciolte, anche il respiro è più morbido”, “mi sento bene, anche il corpo funziona meglio”, “mi sento più forte e rilassato”, “anche il dolore è diminuito, il corpo ora è più morbido, sento più spazio”.
“Quando ascolto il respiro nella pancia mi sento più rilassata e rigenerata, sento una certa condizione di pace. Quando non riesco a prendere sonno mi aiuta ad addormentarmi”, “è una tecnica che mi calma, ho capito come posso tranquillizzarmi, ora so come farlo, posso farlo sempre e ovunque mi trovo”, “quando porto l’attenzione al respiro mi sento meglio, riprendo le forze e la fiducia”, “mi piace ascoltare il respiro perché anche se sono sfinito e contratto, lui respira sempre, è sempre lì con me, magari all’inizio è rattrappito, ma poi ascoltandolo si ammorbidisce, e anche io mi sento meglio, più rilassato e disponibile”, “a volte nell’arco della giornata, quando sono agitata, torno al respiro, lo percepisco nella pancia, mi appoggio sul suo ritmo ciclico e calmo che mi culla e conforta, è una fune che mi tiene”.
“Durante gli esercizi in cui portavo il respiro nelle diverse parti del corpo, mi è capitato di sentire la gamba e il piede destro, aree del corpo che con la sclerosi multipla non sento più”.
“Inizialmente era strano portare il sorriso sulle parti del corpo e a me stesso, ma dopo averlo fatto il mio umore è migliorato, mi sento più sereno”.
“Dopo la pratica mi sento più compatto, anche la mente è più calma e concentrata”, “durante la pratica penso solo a quello che sto facendo, le preoccupazioni e i problemi non ci sono”, “ho iniziato la pratica stanco, alla fine mi sentivo rigenerato e di nuovo pieno di energie”, “all’inizio della pratica avevo mal di testa, dopo la pratica il dolore è scomparso”, “da quando pratico ho riscontrato alcuni benefici nella vita quotidiana, sono più calma e rilassata”, “ho iniziato la pratica in uno stato di sonnolenza e stanchezza mentale, alla fine mi sento più attiva”, “grazie alla pratica conosco meglio il mio corpo”, “sono aumentati calma e rilassamento, ho notato benefici in tranquillità, conoscenza di me stesso e concentrazione”, “dopo la pratica mi sento rilassato, più consapevole di me stesso e mai stanco, nonostante la facile faticabilità dovuta alla sclerosi multipla”, “lo yoga mi rilassa molto, mi insegna a respirare, a combattere lo stress e a conoscere il mio corpo”, “dopo la pratica mi sento meglio, più forte, addirittura camminavo meglio”.
La pratica perseverante favorisce la possibilità di coltivare una maggiore intimità con se stessi, avviando un processo salutare, in cui la persona impara a prendersi cura di sé. Sente e sperimenta la possibilità di “poter fare qualcosa” per se stessa, anche in condizioni complesse e critiche, trova un margine su cui può impegnarsi con pazienza, gentilezza e curiosità percependosi come soggetto attivo e non solo vittima di circostanze sfortunate.
L’ADATTAMENTO DELLA PRATICA ALLA REALTÀ DEL MOMENTO
- Nella prima fase del percorso è bene coltivare la relazione, fare meno e ascoltare di più per cogliere gli interessi e le inclinazioni della persona, ma anche per esplorare ciò che può fare con piacere e agio.
- Proporre pratiche poco impegnative dal punto di vista corporeo, spesso gli esercizi più semplici sono anche i più efficaci.
- Chiedersi “cosa posso proporre e cosa è meglio evitare”?
- Compilare una scheda personalizzata perché la persona possa praticare in modo autonomo
- Nel percorso si incontrano momenti di rabbia, frustrazione, abbattimento e dolore spesso in concomitanza con le fasi di aggravamento. In queste fasi è bene che l’insegnante sia capace di accogliere, comprendere e contenere le possibili reazioni della persona, e al contempo sentire e prendersi cura delle proprie reazioni e frustrazioni connesse alla situazione. In queste fasi, che spesso si susseguono più volte nell’arco di vita della persona, è bene alleggerire, favorire il riposo, l’abbassamento della tensione, coltivare la tranquillità e la fiducia.
- In presenza di dolore alla schiena e alle articolazioni (ginocchia, spalle) cerco di proporre posizioni antalgiche e di scarico del peso: per es. supino con le gambe sul cubo o con un rotolo sotto le ginocchia. Propongo di portare l’attenzione su un luogo diverso da quello dove si manifesta il dolore, oppure su un elemento esterno della natura. Può essere utile proporre un rilassamento segmentario e globale, la percezione del corpo sui punti di contatto, la consapevolezza del respiro addominale, il portare il respiro nelle diverse parti del corpo, un leggero allungamento dell’espirazione, morbidi movimenti da supino, anche solo con le mani e i piedi.
- Quando la mente è (relativamente) calma e chiara l’osservazione è migliore e sorge la possibilità di evoluzione e di pace. Si è meno reattivi e più attivi. In questo stato comunichiamo meglio, la vita è più piacevole e armoniosa.
OBIETTIVI E METODOLOGIA DELLO YOGA IN UILDM
Lo yoga è finalizzato a preservare e sostenere la salute dell’individuo. Salute intesa non come assenza di malattia, ma capacità di trovare un equilibrio nelle condizioni presenti. Il metodo privilegia l’adattamento della pratica alle caratteristiche della persona per ricercare una personale esperienza di conoscenza di se stessi che può sorgere quando corpo, respiro, sensi, mente e cuore sono tra loro sapientemente connessi, come corde di uno stesso strumento. La pratica si prende cura dello strumento, lo accorda perché suoni al meglio delle sue possibilità. Allo stesso modo il praticante vede ampliate le proprie potenzialità che possono così esprimersi in modo ottimale. Per questo la pratica è un processo di crescita, lento e progressivo, che sostiene le capacità salutari insite in ogni persona.
OBIETTIVI:
- Consapevolezza del corpo
- Rilassamento
- Rieducazione del respiro, in particolare del respiro addominale
METODOLOGIA:
- Movimento = Respiro
- Respiro > Movimento
- Fluidità del movimento
- Fluidità del respiro: naturalezza dell’inspiro, anche se è una fase attiva, la pancia si rilassa. L’espiro può essere passivo. Il respiro ritma, accompagna e sostiene il movimento. È un indicatore: se si blocca, trema, va a scatti significa che lo sforzo è eccessivo
- Ᾱsana: la mente è orientata sulla sensazione di benessere e piacere, è un’esperienza in cui c’è agio e morbidezza
- Qualità del movimento, del respiro, della sensazione/percezione, della consapevolezza
- Riposo = ascolto anche dopo una ripetizione
- Meglio l’esperienza dinamica per favorire la rieducazione respiratoria
- Respiro addominale
- Ascolto dei micromovimenti che il respiro attiva nel corpo (e nello scheletro)
- Quando la mente è tranquilla e centrata il prāna scorre in sushumna
- La mente si appoggia sul respiro
- Mente e corpo connessi dal respiro: l’effetto è che uno si sente bene, maggiore chiarezza. Sentire il corpo, fare amicizia con il corpo, avere più confidenza, un contatto intimo, di rispetto e di cura. Come quando inizi a conoscere una persona, più la conosci e la frequenti, più le vuoi bene.
- La mente concentrata di solito è tesa, invece nello yoga vogliamo raggiungere uno stato di concentrazione rilassata e uno stato di rilassamento cosciente (vigilanza senza tensione, rilassamento senza torpore)
- Metodo: giusto sforzo, gesto efficace, economico, eliminando tensione e sforzo inutile
- Innesco il movimento e poi lo concludo immaginando di farlo (lo concludo nello spazio mentale)
- La cosa più importante è incontrare se stessi, le proprie emozioni
- Meditazione su oggetti della natura, oggetti percepibili dai sensi: portare la mente nella direzione scelta, con gentilezza. Le distrazioni fanno parte del processo meditativo. Scelta dell’oggetto: interesse personale, oggetto significativo, che risveglia aspetti salutari della persona. A livello più sottile yoga e meditazione significano scegliere qualità che vogliamo coltivare
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
- Mario Cistulli, Incontrare se stesso per incontrare la malattia, incontrare la malattia per incontrare se stesso, Percorsi di Educazione Fisica in un Reparto Pediatrico di Ematologia, e altri suoi articoli
- Imogen Dalmann, Martin Soder, Yoga arte di guarigione, Calzetti Mariucci
- Lucia Almini, Yoga. La salute e la felicità nelle nostre mani, Tecniche Nuove
Enrica Guardati ha conseguito il diploma di insegnante di yoga frequentando il corso quadriennale di formazione all’insegnamento dello yoga nella tradizione di T.K.V. Desikachar tenuto dal Prof. Mario Cistulli. La formazione ha seguito le linee basilari del curriculum del Berliner Yoga Zentrum, con la supervisione di Imogen Dalmann e Martin Soder. Ha partecipato al corso di post formazione sulla “Metodologia dell’insegnamento dello yoga e didattica” condotto dal Prof. Mario Cistulli. È iscritta alla Yani (Yoga Associazione Nazionale Insegnanti). Insegna in diverse realtà del territorio romano, presso il CIMI di Roma e in Fondazione UILDM dove lavora come assistente sociale specialista da oltre venti anni. Lo yoga e le sue applicazioni nel sociale sono il suo campo di interesse e di ricerca. Ha proposto lo yoga a donne che vivono la realtà della detenzione e del carcere duro presso il penitenziario di Rebibbia a Roma. In qualità di relatore ha presentato l’esperienza Yoga nel carcere femminile di Rebibbia nell’incontro La mente che si libera. Pratiche di consapevolezza nei penitenziari italiani organizzato dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria di Roma. Ha proposto lo yoga a pazienti adulti ricoverati per leucemie e linfomi nel Dipartimento di Biotecnologie Cellulari e Ematologia, Sezione di Ematologia, Università La Sapienza – Policlinico Umberto I di Roma. Ha collaborato alla revisione del testo italiano del libro “Yoga arte di guarigione. Yogaterapia oggi” di Imogen Dalmann, Martin Soder, Calzetti Mariucci, 2018.
[1] Da un’intervista per la rivista Superabile