Sono convinta che lo yoga possa avere un grande ruolo nella nostra società anche in contesti in cui le persone presentano particolari fragilità e ho sempre desiderato lavorare in questo campo. Una decina di anni fa un’associazione della mia città, che si occupa di persone con disabilità mentale, mi ha proposto di tenere un corso di yoga. Questa esperienza va avanti da allora con un gruppo di 6/8 ragazzi, con cui ho incontri settimanali. Gli allievi hanno una disabilità media, dovuta a situazioni differenti (sindrome di Down, autismo, ritardo mentale di varia origine) e presentano tutti difficoltà di linguaggio, di concentrazione e di controllo corporeo.
L’utilità dello yoga in questi contesti è evidenziata da numerosi autori, che hanno riportato esperienze di questo tipo soprattutto in India e negli Stati Uniti. In questo ambito è da segnalare il lavoro svolto per almeno quarant’anni dal dott. Jeyachandran, che ha introdotto la pratica dello yoga nell’Istituto da lui diretto a Chennay in collaborazione con il Krishnamacharya Yoga Mandiram.
Possiamo trovare riferimenti a questa straordinaria realtà su Viniyoga (rivista in lingua francese edita da Claude Maréchal). Il dott. Jeyachandran afferma “lo yoga, che implica l’unione del corpo, del respiro e del mentale è un meraviglioso strumento per realizzare lo sviluppo globale della personalità di questi ragazzi, aiutando la coordinazione delle attività del corpo e della mente, riducendo la distrazione e migliorando la concentrazione legata all’azione”.
In tutti i report la pratica viene proposta in lezioni collettive, con gruppi poco numerosi e allievi piuttosto omogenei nel grado di disabilità mentale, mentre può essere variabile la frequenza degli incontri e il periodo di osservazione per valutare i risultati.
La scelta della pratica collettiva è importante per migliorare il livello di socializzazione dei partecipanti. Da questo punto di vista faccio riferimento a Claude Marèchal, che nella prefazione di un suo testo “Iniziazione collettiva alla pratica dello yoga secondo la tradizione Viniyoga” afferma: “Al momento della pratica sostenuta dalla voce dell’insegnante, gli allievi penetrano in uno stato mentale focalizzato e calmo. Per comprendere questa situazione si utilizza la formula buddhi sanga, che si può comprendere nel senso di un’intelligenza profonda di gruppo”. In questa particolare situazione è possibile giungere ad una comunione di questo tipo nel gruppo, ma ovviamente è necessaria da parte dell’insegnante una dose notevole di pazienza e di tenacia. L’atteggiamento necessario deve basarsi sul rispetto e sull’empatia verso gli allievi e nella costante ricerca di una relazione autentica. Le persone con handicap mentale, proprio a causa della loro situazione, sono prive di quelle sovrastrutture e pregiudizi, che spesso condizionano i rapporti tra persone “normali”. Quindi per stabilire un contatto significativo l’insegnante deve fare un importante lavoro su sé stesso, per sviluppare in modo stabile la qualità di satya: soltanto così potrà conquistare la loro fiducia ed entrare a tutti gli effetti a far parte del gruppo.
Naturalmente è necessario porre in atto una serie di adattamenti sia in relazione alla pratica in toto, sia nei singoli esercizi proposti. In base alla mia esperienza i suggerimenti sono:
_ una pratica non più lunga di 45/50 min, per poter mantenere un livello sufficiente di attenzione;
_ un linguaggio molto chiaro e conciso accompagnato da messaggi non verbali, come la gestualità e la postura e un atteggiamento molto calmo in qualunque situazione;
_ proposte di asana semplici, che tengano conto della loro difficoltà ad armonizzare il lavoro di braccia e gambe, ad eseguire lavori asimmetrici e a memorizzare concatenamenti;
_ approccio graduale alla consapevolezza del respiro: l’uso del suono può risultare particolarmente utile per avvicinarli a questa presa di coscienza;
_ preparazione lunga all’esperienza del rilassamento: in posizione di shavasana ho utilizzato immagini concrete legate ad ambienti naturali, elementi come l’acqua e l’aria, colori ecc. prima di proporre l’attenzione al loro corpo.
Tutte le scelte sono comunque sempre valutate alla luce dei messaggi di ritorno, che in genere non sono verbali. L’insegnante deve essere sempre attentissimo a mantenere un continuo e stretto contatto il gruppo, incoraggiando, lodando e cercando la connessione, quando si accorge che un allievo in quel particolare momento si è distratto o non ha compreso la proposta.
Posso affermare che il concetto di relazione così fondamentale nel Viniyoga è la base su cui si può costruire un percorso solido, che permetta a questi allievi di progredire nello sviluppo psicofisico e soprattutto nell’ autostima, perché vivono, almeno per quel breve tempo, in un ambiente in cui si sentono accettati e compresi. Ritengo che l’atmosfera di serenità e di calma, che progressivamente, anche se lentamente, viene a crearsi nel gruppo sia veramente il bhavana principale di questa attività. L’insegnante non solo è gratificato dallo sforzo necessario per ottenere questo risultato, ma ha un’importantissima occasione di crescita interiore.
Laura Peretti